6° Bandiera BLU 2018 – 2023

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L’urlo del nibbio

di Fabio Fusco, Emma Pelliccioni, Arianna Ulpiani e Leonard Shaini
da Trevignano Romano
Scuola Secondaria di I grado I.C. Tommaso Silvestri
Classe 2D

Buona lettura

Tema 2023: Il Mistero delle Pantane

L’urlo del nibbio

Don Domenico Grillo, duca di Mondragone, quarto duca di Anguillara, quarto marchese di Trevignano, decise di passeggiare con la moglie, Donna Maria Rosa San Severino lungo il lago di Trevignano, nelle sue proprietà. Quella mattina il marchese si lisciò i lunghi baffi neri di cui era orgoglioso, si mise il suo vestito da caccia marrone, elegante, ma comodo Sua moglie indossava un bellissimo abito giallo lungo, ricco di merletti, ma senza busto, sempre per comodità.
Presero la carrozza da campagna, quella con le ruote più forti, per fare un pic nic sulle rive del lago. Il Cocchiere guidò i cavalli a ovest del vecchio castello in un punto dove il lago aveva una rientranza, molto ricco di vegetazione che il marchese adorava perché lì vivono maestosi nibbi reali che sembrano aquile.
Il posto “Lacuscello” cioè piccolo lago, probabilmente era un piccolo vulcano attaccato a quello del grande lago, l’acqua alta solo 60 centimetri e a Donna Maria Rosa piaceva guardare i riflessi dell’ acqua che illuminavano il basso fondale ricco di pesci.
Marito e moglie si accomodarono sotto la chioma di un bellissimo ontano nero alto circa dieci metri che faceva un’ombra leggera con le sue foglie ovate. La cuoca aveva preparato loro del coniglio in umido con le verdure che aveva un profumino delizioso e lo mangiarono con gusto, poi, Donna Maria Rosa prese la cesta del pane e vide un piccolo svasso minore, si alzò velocemente per osservarlo da vicino ma, accidentalmente la cesta le scivolò nell’acqua.
All’improvviso…in questi pochi centimetri d’acqua si creò un caos di schizzi, tuffi, balzi, di varie forme che velocissime si mossero acqua e canne all’impazzata, e il pane venne trascinato sotto come da un vortice impetuoso e, dopo dieci minuti che sembravano ore, il cesto tornò a galleggiare vuoto sulle acque appena increspate.
Don Domenico non credette ai suoi occhi! Che magia è questa?
Poi sentendo la moglie urlare, le si avvicinò e cercò di calmarla. Tremava come una foglia dalla paura e aveva le gambe che gli cedevano.Una cosa mai vista!
I due in un lampo raccolsero i resti del pranzo e si fiondarono nella carrozza gridando al cocchiere, che si era addormentato al sole, di mandare i cavalli al galoppo e tornare al più presto alla villa.
Don Domenico, mentre la moglie, stanca dal tanto tremare si addormentò, per tutta la notte non riuscì a dormire e pensava e ripensava; decise di trovare il modo di scoprire cosa fosse accaduto al Lacuscello.
Al mattino, stanco, riunì i suoi compagni di caccia, chiamò lo stalliere e infine chiese alla cuoca di riempire un altro paniere e partirono per scoprire il mistero.
Quando arrivarono tutto era calmo, due nibbi volavano alti, una garzetta dal ciuffo bianco si nascondeva tra le canne e una falena versicolora si riparava all’ombra.
Gli uomini con dei bastoni provarono a smuovere il lago, ma non successe niente, lo stalliere più coraggioso si tolse gli stivali e si bagnò fino al ginocchio, in un primo momento non successe niente, poi l’uomo cominciò a saltellare e gridò uscendo velocemente dall’acqua per arrivare agitatissimo sulla riva. Con gli occhi spalancati si osservò gli stinchi e giurò che cento, mille, bocche fameliche avevano provato a mangiarlo!
Gli altri risero di lui pensando che stesse scherzando, infatti era tutto intero, ma lui si arrabbiò e credendo che la paura gli avesse fatto avere le visioni, ma Don Domenico ordinò di gettare nelle acque la cesta del pane … E subito mille ombre veloci come il fulmine mossero il Lacuscello facendo sparire la cesta che, come l’altra volta, dopo pochi minuti, tornò a galla vuota.
Chi correva, chi gridava al fantasma, chi rimaneva con gli occhi sbarrati dalla paura, non c’era soluzione e decisero di tornare a casa ragionando sull’accaduto: un animale? Un mostro? Dovevano discuterne con gli altri paesani.
Due notti dopo in alto nel cielo si alzò una bella luna piena che rischiarava l’oscurità quasi a giorno e Maurizio il pescatore ne approfittò per gettare le reti nel lago di Trevignano, in realtà avrebbe dovuto pescare con la luna calante, ma quello era il suo lavoro e non voleva perdere tempo. Ad un tratto venne spaventato da grida agghiaccianti provenienti dall’alto e si rese conto che in realtà era un Nibbio che, come impazzito, volava a scatti sopra il vecchio castello abbandonato con i suoi versi rimbombanti e striduli.
Maurizio, dal centro del lago, cercò velocemente di tornare a riva con la barca con una sensazione di cattivo presagio e mentre remava guardava la Rocca … All’improvviso vide un masso enorme rotolare giù dalla collina del castello e una specie di ombra che lentamente si avvicinava alle mura e scompariva.
A questo punto arrivò il silenzio, del nibbio nessuna traccia e il pescatore tornò a casa rabbrividendo.
Appena sveglio raccontò tutto alla moglie e al vicino di casa Mattia il fabbro e insieme decisero di dirigersi al castello per capire qualcosa e … Orrore!
Ai piedi della vecchia costruzione c’era un enorme cinghiale sbranato!
Che animale aveva potuto fare questo? Altro che masso!
Si trattava di una gigantesca bestia piena di morsi e ricoperta di viscido fango, accanto al cinghiale c’erano tre cani, anche loro sbranati, una cosa spaventosa!
Subito i due uomini diedero l’allarme in paese pensando che si trattasse di un mastodontico lupo impazzito.
Don Domenico venne a conoscenza del fatto e pensò subito alla sua brutta avventura al Lacuscello pantanoso; forse si trattava dello stesso animale? O un mostro?
Tutto il paese era in agitazione, tutti si domandavano cosa fosse successo e ognuno dava una risposta sempre più spaventosa.
Decisero che la notte ci si doveva chiudere in casa subito dopo il tramonto e molti costruirono nuovi recinti, più alti e resistenti per i loro animali.
Per qualche settimana non successe niente, ma una notte nel paese rimbombarono le “urla” del nibbio che stranamente volava sopra la villa del marchese. I versi svegliarono la cuoca che tutta agitata si alzò e sentì dei forti rumori nella cucina, come se cadesse tutto a terra, allora svegliò il cameriere e per farsi coraggio entrarono insieme nella cucina. Che caos!
Le pentole erano tutte a terra, il pane, fatto quella mattina, era scomparso e le lepri, portate il giorno prima dal cacciatore erano piene di morsi, ne rimaneva solo la pelliccia e brandelli di ossa, ma soprattutto c’era melma in ogni angolo, viscida melma grigiastra.
La cuoca, dalla paura, corse urlando nella sua stanza e si chiuse dentro tremante; il cameriere si fece il segno della croce così tante volte che al mattino non aveva ancora smesso. Non c’era tempo da perdere, tutti gli uomini del paese si riunirono in piazza per decidere cosa fare: sicuramente si trattava di un animale feroce e gigantesco, ma la melma? Da dove poteva arrivare?
Insieme, ognuno con un’arma, fucili, zappe, bastoni, perlustrarono tutta la zona per una settimana cercando dentro ogni macchia, nel bosco, a valle e sulle colline, ma non trovarono niente e soprattutto nessuna traccia della melma. A questo punto Maurizio il pescatore disse ad alta voce che forse lui sapeva da dove proveniva la melma, l’aveva vista vicino alla zona del Lacuscello pantanoso.
A queste parole Don Domenico gridò che era proprio così, c’era un mostro sotto quelle acque, lo diceva da giorni, ma nessuno gli aveva creduto. Infatti, la maggior parte dei trevignanesi pensava che si trattasse di un animale del bosco, un lupo, perché niente di enorme si poteva nascondere in sessanta centimetri d’acqua. Tutti erano d’accordo su una cosa: ogni volta che il nibbio “urlava” col suo verso esagerato succedeva qualcosa di misterioso e sempre di notte.
Il paese era in allerta, se il mostro o l’animale fosse tornato non sarebbe sfuggito ai trevignanesi.
Per un mese tornò la calma, ma quando già ci si stava rilassando, ecco nella notte lo stridio dell’ ”urlo” del nibbio!
Stavolta parecchi uomini armati uscirono di casa per seguire con gli occhi il volo del rapace e Maurizio prese velocemente la sua barca per seguirlo dal lago, remava come un fulmine e arrivò al Lacuscello. In mezzo alle canne vide un grosso ammasso luccicoso, Maurizio si avvicinò un poco e accese una torcia per vedere meglio e un’enorme massa a forma di pera gli apparve davanti. Era liscia e lucida e in alto al centro di quella che sembrava la testa aveva un grande, unico occhio bianco che fissava gelido il pescatore. Paralizzato dalla paura, non riusciva a fuggire, era ipnotizzato dalla creatura che all’improvviso, con uno “splash” sparì nelle acque buie.
Maurizio, con il cuore a duemila remò più velocemente possibile verso il paese e raccontò ciò che aveva visto. Da quel momento fu ufficiale: c’era un mostro nelle acque pantanose e bisognava intrappolarlo prima che fosse troppo tardi e che cominciasse a cacciare gli esseri umani.
Donna Maria Rosa, sempre più spaventata, vietò al marito di partecipare alla cattura del mostro. Don Domenico all’inizio provò a seguire quest’ordine, ma per quattro giorni non riuscì a dormire né a mangiare, si faceva continuamente domande: cosa sarà questo mostro del lago? Non un fantasma perché i fantasmi non mangiavano! Non un serpente marino, perché al lago c’erano le acque dolci! Alla fine la moglie, temendo che stesse per impazzire, lo liberò dal giuramento e finalmente Don Domenico mangiò e dormì per due giorni. Al risveglio prese una decisione: avrebbe svuotato quel laghetto pantanoso come avevano provato a fare, molti anni prima, gli antichi romani, forse per lo stesso problema mostruoso. Il marchese ordinò ai suoi uomini di trovare l’antico canale di scolo romano, lo trovarono, lo liberarono dai detriti e fecero defluire le acque pantanose verso il grande lago.
Tutti gli uomini avevano lo sguardo fisso sul golfo per vedere cosa sarebbe successo, ognuno pronto con fucili e pale e una grossa rete. Mentre avveniva il lento svuotamento ecco il nibbio che “urlava”! I cuori di tutti batterono velocemente e dal centro del Lacuscello salì una montagna viscida grigiastra di melma luccicante. Dopo un attimo di panico, gli uomini lanciarono la grossa e fitta rete sul mostro e cominciarono a tirare per portarlo a riva. Il mostro era pesantissimo e il suo occhio bianco li osservava in continuazione; finalmente lo portarono a riva e subito chi sparava, chi lo infilzava con il forcone, chi lo prendeva a palate, chi lo bastonava, ma gli unici rumori che si sentivano nella notte erano tanti “plop” e l’ “urlo” del nibbio.
Per un’ora il mostro ricevette tanti colpi, poi cominciò a tremare e vibrare, infine ruotò come un vortice e schizzi di melma inondarono tutti i presenti, anche negli occhi e, quando riuscirono a pulirsi per vedere, l’essere non c’era più.
Don Domenico non si arrese, fece pulire con un bastone il canale e continuò a svuotare le acque. Lentamente l’acqua si abbassò e, all’alba, lasciò il posto a centinaia e centinaia di ottime tinche giganti nel fondo melmoso.
Il marchese pensò che forse non esistesse nessun mostro, magari un grosso lupo aveva ucciso il cinghiale e un ladro, sporco di fango, aveva rubato nella sua cucina, inoltre, di notte non si vedeva bene, forse l’ammasso di melma era stato creato dal movimento di tutte quelle tinche.
Egli espresse i suoi pensieri ad alta voce e tutti, forse per scacciare la paura e la stanchezza, decisero che questa fosse l’unica soluzione possibile. Che sollievo!
Don Domenico rise col suo vocione, come per tranquillizzare gli altri e se stesso, disse che tutte le tinche trovate erano delle famiglie trevignanesi e perciò ordinò a tutti di raccoglierle e portarle alle donne in paese così che la sera dopo si potesse organizzare una grande festa con musica, balli e il mostro arrostito con la mentuccia!
Anche Maurizio portò le sue tinche alla moglie, poi, tutto contento, tornò di buon mattino a controllare il canale, ma si accorse che era otturato: cosa si era incastrato? Forse una tinca gigante? Con un grosso bastone spinse con forza nel foro, sentì qualcosa di molle e all’improvviso venne tirato verso lo scolo da una forza che non si aspettava, lasciò immediatamente il bastone e cadde a terra mentre un forte rumore rimbombava nel canale e il Lacuscello finì di prosciugarsi.
Maurizio, pensò di aver fatto un buon lavoro, tornò a casa per lavarsi e prepararsi per la grande festa.
Tutto finì bene, la festa fu bellissima, si bevve, si mangiò e ci si divertì alla faccia del mostro inesistente.
Ma ancora oggi nelle notti luminose, quando la luna piena è alta nel cielo, si può sentire l’eco dell’ ”urlo” del nibbio e sembra che qualcosa ci osservi dal centro del lago: è il riflesso della luna? Oh … Sembra proprio un gigantesco occhio bianco!

“L’urlo del nibbio”
è un racconto scritto da Fabio Fusco, Emma Pelliccioni, Arianna Ulpiani e Leonard Shaini

per il Festival dei Racconti Brevi di Trevignano Romano Turismo

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